EPIDEMIE E ARCHITETTURA MEDIEVALE OSPEDALIERA NEL LIBRO DI CHIOVELLI. INTRODUCE L’ARCH. MARGHERITA EICHBERG

Acquapendente (VT)

06/08/2021 - Presentazione volume

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Un’ampia storia delle epidemie, dell’ospitalità e della medicina alla frontiera tosco-laziale, attraverso la documentazione archivistica. Un viaggio affascinante nei luoghi della cura e nella storia di Acquapendente.

Tutto racchiuso nel libro "Epidemie, ospedalità e medicina ad Acquapendente" di Renzo Chiovelli. Illustrato il 6 agosto scorso alle ore 21, proprio ad Acquapendente, vanta l’introduzione del Soprintendente, arch. Margherita Eichberg. Altre presentazioni si terranno a Castell’Azzara (Sforzesca) il 28 agosto ed a Soriano nel Cimino (al Castello Orsini) il 25 settembre. 

 

Sesto volume della collana di cui fa parte, “I Documenti”, edita dal Comune di Acquapendente e curata dallo stesso autore, anticipa il testo successivo: “Profilassi e precauzioni sanitarie alla frontiera tosco-laziale tra medioevo ed Età Moderna”.

444 pagine in cui l’ampia storia generale delle epidemie incrocia l’architettura medievale ospedaliera. “Il testo di Chiovelli – commenta l’arch. Eichberg - ci ha dato l’occasione per affrontare il tema dell’edilizia ospedaliera d’epoca: della sua identificazione, del suo complesso presente e del suo difficile futuro. La recente emergenza sanitaria ha avuto il merito di farci riscoprire il valore testimoniale dei vecchi ospizi per pellegrini e viandanti, poi ospedali ed istituti assistenziali.

Forse Chiovelli ha subìto l’influenza di Girolamo Fabrizio, chirurgo, anatomista e fisiologo nato nella sua stessa città tra il ‘500 e il ‘600. Di certo non si è limitato a fare una semplice cronistoria o a passare in rassegna fenomeni ed eventi, ma ha fornito un’analisi approfondita dei fatti.

All’indagine sull’origine dei termini “lazzaretto, quarantena, isolamento, cordone sanitario”, ad esempio, ha fatto seguire l’illustrazione dei metodi di contenimento delle pandemie, di volta in volta adottati; soprattutto lungo la Francigena, ad alto rischio di contagio per essere percorsa da mercanti, pellegrini, soldati, ambasciatori. Nelle città di confine e crocevia di popoli, i commissari pontifici decisero di chiudere gli ingressi e le merci dovevano essere lasciate fuori fino all’ispezione. Si controllavano i certificati, si disinfettavano pacchi e carte, e solo dopo si aprivano le porte.

Alla descrizione delle cause ed effetti delle epidemie, come la “peste nera” della metà del XIV secolo, segue la citazione dei centri dell’ospedalità, contestualizzando e connotando l’accezione di cui si caricano. Non c’era differenza tra le strutture di ospitalità e quelle di degenza. Solo successivamente gli spazi di cura furono adattati alle esigenze via via sopraggiunte e per l’organizzazione che seppero darsi. Molti gli esempi romani indicati, romani ed aquesiani. A partire dal vecchio ospedale di San Gregorio, fino alla “fabbrica della salute” dei Fatebenefratelli. E poi ancora: l’Ospedale del Salvatore (poi San Giovanni in Laterano), o il “nuovo” ospedale di San Gallicano a Trastevere.

A Roma nel Duecento, per volere del card. Giovanni Colonna, lungo la via Merulana, nei pressi della basilica del Laterano, sorse una prima struttura per ospitare i pellegrini, assistere i bisognosi e curare gli infermi. E ben presto, per fronteggiare le malattie contagiose, vennero dedicati agli infetti specifici nosocomi in punti idonei della città (v. il San Giovanni Calibita all’Isola Tiberina e S. Giacomo a via Ripetta).

Dal punto di vista tipologico le strutture ospedaliere d’epoca che conosciamo presentano caratteristiche ricorrenti, non ultima la presenza di un altare nelle corsie di degenza: vi si celebravano messe e recitavano preghiere, mentre sulle pareti si dipinsero scene di miracoli, quali quello del paralitico e del cieco nato, per infondere speranza ai ricoverati. Non mancavano immagini sacre della Madonna e il Crocifisso. Si trattava di strutture monumentali; basti pensare a quella realizzata a Civitavecchia nel ‘700 dal Vanvitelli.

Alcuni antichi ospedali sono stati da tempo restaurati e adibiti a spazi polifunzionali. In ogni, puntualizza l’arch. Eichberg: “Per quanto abbandonati, manomessi, trasformati ad usi diversi e spesso privatizzati, i vecchi ospedali, grandi e piccoli, di storia lunga o breve, importanti o meno a scala territoriale, sono beni culturali nell’accezione più moderna e illuminata: testimonianze di civiltà. Ad essi va la nostra attenzione: con lo studio, la conservazione, e possibilmente la valorizzazione di quanto rimane.

Di certo sono “beni culturali a tutto tondo, spesso contenenti secolari musei sanitari”, conclude il Soprintendente, arch. Margherita Eichberg. “Gli antichi ospedali delle città e dei paesi – ribadisce - impegnano le Soprintendenze nella difesa della loro identità e consistenza. Quasi mai tutelati con vincolo dichiarato, se ancora in uso ne vengono tollerate le spesso sciatte ma necessarie manutenzioni funzionali; se dismessi, se ne auspica la musealizzazione o la destinazione ad usi compatibili”.